Medicina del futuro:

LA TERAPIA GENICA

Introduzione

Il DNA ricombinante è una tecnologia nata negli anni ‘70 grazie alla quale è possibile isolare, tagliare e combinare brevi sequenze di DNA per poi trasferirle in cellule fatte crescere in laboratorio. Questo DNA creato ad hoc – che è spesso una piccola molecola circolare chiamata plasmide – dà le istruzioni alle cellule per produrre determinate proteine.

Nel 1972, il premio Nobel Paul Berg riuscì a combinare il DNA del batterio Escherichia coli con quello di un virus di scimmia, creando la prima molecola di DNA composta da sequenze di organismi diversi, chiamata anche “DNA ibrido”. La tecnologia del DNA ricombinante ha sancito la nascita di un settore di ricerca nuovo, basato sulla manipolazione del codice genetico, che nel giro di alcuni decenni ha consegnato al mondo la terapia genica.

Questa terapia si è sviluppata, a partire dalla fine degli anni Ottanta del XX secolo, grazie ai progressi compiuti nella comprensione delle basi molecolari di molte malattie umane e nella messa a punto di tecniche efficienti per il trasferimento dei geni. Il suo scopo è quello di modificare le cellule di un paziente al fine di correggere un difetto genetico o di impartire alla cellula nuove funzioni a scopo terapeutico.

Nonostante i progressi, la terapia genica deve affrontare sfide significative. È una terapia costosa e tecnicamente complessa, che ne limita l’accessibilità. Inoltre, aspetti quali il rilascio efficiente dei geni, la risposta immunitaria ai vettori e la durata della risposta terapeutica richiedono miglioramenti.

In questa ricerca racconterò la sua storia, spiegando le metodologie che essa sfrutta e le applicazioni attuali. Racconterò anche del primo caso di studio di questa terapia, ed esporrò poi le questioni etiche e sociali, nonché le prospettive future, associate a questa nuova disciplina.

Storia

Rivista Science
Rivista Science del 1972

L’idea di utilizzare i geni per prevenire o curare le malattie nasce con lo sviluppo delle tecniche di biologia molecolare e ricombinazione del DNA che permettono di intervenire a livello del materiale genetico delle cellule eliminando e inserendo geni. In una lettera pubblicata sulla rivista Science nel 1972 si proponeva per la prima volta l’idea di usare la terapia genica per curare le malattie genetiche dell’uomo, sottolineando però la necessità di conoscere a fondo i meccanismi e i rischi legati a questa nuova terapia. A metà degli anni ’80 si cominciò a lavorare in modo attivo sui virus, che sarebbero poi diventati parte integrante della terapia genica, sperimentata per la prima volta nel mondo nel 1990 su una bimba di 5 anni affetta da deficit di adenosina deaminasi (ADA-SCID). Nel 1996 nasce a Milano l’Istituto San Raffaele-Telethon per la terapia genica (SR-Tiget), diretto da Claudio Bordignon, ancora oggi uno dei punti di riferimento per la ricerca sulla terapia genica a livello non solo nazionale.

Gli studi sono proseguiti coinvolgendo pazienti con diverse sindromi genetiche più o meno rare come l’amaurosi congenita di Leber o la sindrome di Wiskott-Aldrich, fino ad arrivare, nel 2012, all’approvazione della prima terapia genica in Europa per il trattamento di una malattia rara del fegato. Al luglio 2022, le terapie geniche approvate e in commercio in Europa sono in totale 12, di cui 7 autorizzate anche in Italia; tra di esse, vi sono terapie per il trattamento di malattie rare, immunodeficienze e tumori del sangue. Grandi speranze sono riposte nella terapia genica che utilizza la tecnica CRISPR/Cas9, che ha molto semplificato l’editing genetico e per la quale Jennifer Doudna ed Emmanuelle Charpentier hanno vinto il premio Nobel per la chimica nel 2020.

Categorizzazione delle terapie geniche

La terapia genica è una forma innovativa di terapia che nasce dalla consapevolezza che la causa della malattia è un difetto nei geni presenti nelle nostre cellule. Questo vale soprattutto per le malattie genetiche, ma anche per molte altre. Nel caso particolare delle malattie genetiche, il difetto è acquisito alla nascita ed è presente in tutte le cellule. Quel difetto può causare molti sintomi, talvolta devastanti, che si originano tutti a partire da una singola ragione. Con l'ingegneria genetica è possibile manipolare i geni e costruire in laboratorio un gene funzionale che corregga quel difetto. La difficoltà di un simile approccio terapeutico è inserire questo gene nelle cellule del malato.

Le terapie geniche possono essere classificate a seconda che siano in vivo o ex vivo, a seconda della strategia utilizzata, in base al vettore utilizzato e in base alla loro cellula bersaglio.

Terapie geniche in vivo ed ex vivo

differenze in vivo/ex vivo
Differenze tra processo in vivo e ex vivo

Nella terapia genica in vivo, il vettore terapeutico (generalmente un AAV) viene somministrato direttamente al paziente, per via endovenosa o mediante iniezione diretta nell'organo o nel tessuto bersaglio. Questa strategia viene attuata in tutti quei casi in cui le cellule non possono essere messe in coltura o prelevate e reimpiantate, come quelle del cervello o del cuore e della maggior parte degli organi interni. Inoltre, rappresenta un modello terapeutico con elevata compliance e più economico ma, attualmente, di più difficile applicazione.

La terapia genica ex vivo si basa invece sull'estrazione delle cellule del paziente che si intendono modificare, sottoponendole al processo di trasduzione con i vettori portatori del gene terapeutico in vitro e, successivamente, reinfondendo le cellule corrette nel paziente. Questo metodo è applicabile ai soli tessuti che possono essere prelevati dal corpo, modificati geneticamente e reintrodotti nel paziente, dove attecchiscono e sopravvivono per un lungo periodo di tempo, come ad esempio le cellule del sistema ematopoietico e della pelle. Tale procedura è sicuramente lunga e costosa ma permette di selezionare ed amplificare le cellule d'interesse e gode di una elevata efficienza.

Terapie geniche secondo la strategia utilizzata

La terapia genica può essere suddivisa in tre metodi a seconda della strategia utilizzata:

  • Aggiunta di geni: comporta l'aggiunta di una sequenza di DNA ricombinante per esprimere un prodotto genetico che al paziente manca o non è funzionale. È la strategia utilizzata nella stragrande maggioranza delle terapie per le malattie ereditarie.
  • Modifica genetica: l'obiettivo di questa tecnica è sostituire solo i cambiamenti nucleotidici esistenti che hanno dato origine a un gene disfunzionale. L'editing genomico mira ad apportare modifiche molto specifiche alla sequenza alterata del DNA nel paziente. La tecnologia CRISPR-Cas9 (Clustered Regularly Interspaced Short Palindromic Repeats e Caspase 9) è uno strumento versatile che consente di raggiungere qualsiasi sequenza e tipo cellulare specifico, in grado di modificare cambiamenti, delezioni e duplicazioni specifici e che potrebbe potenzialmente essere applicato a quasi tutte le malattie su base genetica.
  • Soppressione genica: si tratta di correggere condizioni patologiche in cui l'organismo produce una proteina anomala o è sovraespressa in modo tale da generare una patologia.

Terapie geniche a seconda del vettore utilizzato

Indipendentemente dal principio attivo, le terapie geniche richiedono un vettore che consenta alla molecola di accedere all’interno delle cellule bersaglio. L'efficacia della terapia varierà a seconda del veicolo utilizzato per trasferire l'informazione genetica al paziente. I vettori utilizzati possono essere suddivisi in vettori virali e non virali. A loro volta i vettori possono essere integrativi (quelli in cui il genoma virale si inserisce nel DNA cromosomico della cellula infetta e permane attraverso le diverse divisioni cellulari) o non integrativi (durano nel tempo solo nelle cellule che non si dividono o con un basso tasso di turnover). Tra i vettori virali integrativi, quelli più frequentemente utilizzati sono i vettori lentivirali e retrovirali, mentre tra i vettori non integrativi più utilizzati sono quelli derivati da virus adeno-associati (AAV), di particolare interesse nelle strategie di terapia genica in vivo.

Terapia genica utilizzando vettori derivati da virus adeno-associati
Terapia genica utilizzando vettori derivati da virus adeno-associati

Per introdurre il principio attivo, e dato che il DNA è molto inefficiente nel raggiungere le cellule e passare al nucleo, è necessario un veicolo (o vettore) che consenta l'accesso alla cellula bersaglio. Tipicamente, il vettore che trasporta il gene avrà tre componenti chiave: un promotore, il gene in questione (chiamato transgene) e un segnale di terminazione. L'efficacia della terapia dipenderà in gran parte dal veicolo utilizzato per trasferire l'informazione genetica al paziente.

Generalmente, per ottenere buoni risultati, si utilizzano vettori virali, cioè virus ingegnerizzati in modo da fargli trasportare il gene terapeutico e inserirlo nelle cellule bersaglio. Praticamente il virus viene privato del proprio genoma e quindi reso innocuo, ma conserva la sua capacità di “infettare” le cellule. In questo modo agisce come una specie di “Cavallo di Troia” che trasferisce nelle cellule il gene terapeutico, si esaurisce una volta terminato questo passaggio, e ciò che resta è la correzione del difetto.

Il maggiore ostacolo per il successo della terapia genica è rappresentato dalla difficoltà di trovare un sistema virale che raggiunga un livello di efficienza sufficiente nell'infettare tutte le cellule bersaglio. Un altro punto critico nasce dal fatto che il virus ingegnerizzato potrebbe essere riconosciuto come corpo estraneo dall'organismo e suscitare quindi una reazione immunitaria. Un terzo problema da risolvere è di rendere l'espressione del gene terapeutico persistente nel tempo senza bisogno di doversi sottoporre a continui trattamenti. Un altro possibile rischio è che il virus dia origine a particelle capaci di riprodursi in modo incontrollato e che trasporti all'interno della cellula anche dei componenti tossici (come le proteine del capside).

Esistono cinque classi principali di vettori con diverse capacità di carico:

  1. Retrovirus e lentivirus (che contengono fino a 8 kb di transgene);
  2. Virus dell'herpes (HSV-1, capace di ospitare da 40 a 150 kb di materiale genetico);
  3. Adenovirus (da 8 a 30 kb);
  4. Il virus Adeno Associato (AAV, che può avere dimensioni fino a 5 kb).

Retrovirus e lentivirus si integrano nel genoma e ciò può causare la disgregazione del materiale genetico dell'ospite, con conseguente danno al paziente. Al contrario, HSV-1, adenovirus e AAV non sono integrativi e persistono nel nucleo cellulare come episomi extracromosomici.

Esistono anche vettori non virali per effettuare il trasferimento del gene terapeutico all'interno della cellula bersaglio. Di solito sono formati da nanoparticelle cariche positivamente che formano interazioni elettrostatiche con il DNA carico negativamente. Rispetto ai vettori virali, però, hanno un'efficienza nettamente minore.

Questi vettori non virali comprendono:

  1. DNA nudo
    L'inserzione di DNA nudo è la procedura più lineare e più semplice ed inoltre permette di trasferire costrutti genici di grandi dimensioni. Consiste nell'iniettare il gene terapeutico, legato ad un plasmide, direttamente nella cellula tramite l'utilizzo di una micropipetta. Lo svantaggio di questa metodica consiste nel fatto che bisogna iniettare il DNA in ogni cellula, una per una. Il rendimento, inoltre, è decisamente basso.
  2. Liposomi
    I liposomi sono vescicole sferiche la cui parete è composta da un doppio strato fosfolipidico. Usando liposomi cationici è possibile far complessare ad essi il DNA, che a pH neutro presenta carica negativa. Il complesso DNA-liposoma può fondersi con la membrana cellulare ma nella maggior parte dei casi viene internalizzato tramite endocitosi. Successivamente il DNA viene liberato nel citoplasma, entra nel nucleo e viene espresso. Sfortunatamente questo processo è a bassa efficienza in quanto si è visto che solo lo 0,1% del DNA introdotto viene espresso. Per ovviare a ciò nei liposomi sono state anche inserite proteine ed anticorpi che possano aumentare l'efficacia della procedura minimizzando la degradazione del DNA e facilitando il corretto direzionamento della vescicola.
  3. Polimeri cationici
    Molto simile è la procedura di trasfezione che utilizza polimeri cationici. Infatti, macromolecole dotate di molteplici cariche positive possono interagire con il DNA, il quale a pH fisiologico è un polianione, provocandone la condensazione e proteggendolo da aggressivi sia chimici che enzimatici, oltre che da radiazioni ionizzanti. Anche i complessi DNA-policatione vengono internalizzati dalla cellula per endocitosi, e possono essere attivamente indirizzati verso specifiche linee cellulari o tessuti utilizzando anticorpi o altre molecole direzionanti.
  4. Bombardamento tramite particelle (gene gun)
    Il bombardamento tramite particelle consiste nell'utilizzo di particolari strumenti elettrici o ad alta pressione, dette pistole geniche (gene gun), che permettono di inviare nella cellula particelle microscopiche d'oro o di tungsteno ricoperte di DNA. Al momento non esistono studi sull'uomo di questa metodica ma solo su animali.

CRISPR-Cas9

CRISPR-Cas9
Jennifer Doudna ed Emmanuelle Charpentier, vincitrici del premio Nobel per la chimica nel 2020

Come affermato nell’introduzione, il sistema CRISPR-Cas9 è una delle tecnologie più innovative, in cui sono riposte grandi speranze; andiamo quindi ad analizzarlo più nello specifico.

In generale, i sistemi di editing genomico ci consentono di introdurre modificazioni genetiche, ma, a differenza di tecnologie già esistenti, non comportano necessariamente l'introduzione di sequenze di DNA in nuove posizioni del genoma; in pratica si interviene direttamente sul gene già presente andando, a seconda dei casi, a introdurre mutazioni o casuali o mirate per ottenere gli effetti desiderati sfruttando i meccanismi naturali di riparazione dei danni del DNA.

Tutti i sistemi di editing genomico recenti sfruttano il medesimo meccanismo: guidare un enzima che taglia la doppia elica del DNA in un sito specifico del genoma, e quindi fornire eventualmente alla cellula la sequenza donatrice per riparare il danno ed effettuare la correzione della sequenza. Il sistema CRISPR/Cas9 è però molto più facile da applicare perché richiede solamente di identificare la sequenza dove tagliare e di fornire la guida di RNA all’enzima Cas9. Quindi, la sola variabile è un piccolo frammento di RNA. Negli altri due sistemi (TALEN e Zn-finger) occorre ingegnerizzare in laboratorio intere proteine, senza contare che l’efficienza di editing risulta essere inferiore.

Inoltre, il sistema CRISPR/Cas9 è estremamente flessibile. Per esempio, studi di ricerca di base hanno dimostrato come la capacità di Cas9 di trovare il suo bersaglio attraverso l’RNA guida possa essere abbinata con la capacità di alcuni enzimi di modificare direttamente una singola base in un’altra, ed in tal modo si possa quindi correggere efficientemente il difetto all’origine di quelle malattie genetiche causate dalla mutazione di una singola base. In questo caso, l’utilizzo di una variante di Cas9 che è incapace di tagliare, abbinato al secondo enzima “correttore” diminuisce drasticamente il rischio di introdurre errori quali quelli che saranno descritti nel punto successivo.

Ma quali sono le limitazioni del sistema CRISPR/Cas9?

Il problema maggiore da affrontare, in particolare nelle applicazioni agli esseri umani, è la possibilità che Cas9 riconosca sequenze diverse da quella bersaglio e quindi introduca dei cambiamenti non voluti né predetti. Infatti, il frammento di RNA che guida Cas9 ammette alcuni appaiamenti scorretti, rendendo Cas9 in grado di tagliare anche regioni del DNA diverse dal bersaglio. Questa possibilità è oggetto di intensa ricerca, e può attualmente essere molto ridotta identificando degli RNA guida molto selettivi e/o sfruttando Cas9 alternative o modificate che permettano una maggiore specificità, come quella messa a punto dal gruppo italiano del CIBIO di Trento guidato da Anna Cereseto.

Esiste poi anche la possibilità che il taglio introdotto da Cas9 venga riparato in maniera scorretta risultando non nella correzione di un difetto genetico, ma nell’introduzione di nuove mutazioni. Nonostante questa sia un’eventualità rara, deve naturalmente essere presa in considerazione. Questo problema può essere superato, per le molte malattie genetiche associate a specifiche mutazioni che determinano la sostituzione di una sola base nella sequenza del DNA, dall’utilizzo di forme di Cas9 modificate che permettono di sostituire chirurgicamente singole basi senza bisogno di tagliare il DNA. L’utilizzo di questo nuovo approccio CRISPR, tra le altre cose, permette la correzione efficiente dei difetti genetici anche in cellule che non proliferano più, come quelle che compongono i tessuti ormai differenziati (neuroni ad esempio) e nelle quali si ritiene che la ricombinazione omologa non sia un processo attivo.

In linea di principio, CRISPR/Cas9 rappresenta un approccio più avanzato di terapia genica, in quanto permette di modificare il genoma di una cellula “curando” la sequenza di DNA "malata" ma senza inserire altre alterazioni o sequenze estranee. In particolare, quest’ultimo rappresenta un limite degli approcci di terapia genica attualmente utilizzati, pur con eccellenti risultati. Infatti, basandosi questi sull’introduzione di DNA estraneo in regioni casuali del genoma, c’è un rischio, seppur minimo, di comprometterne le funzioni. Approcci di terapia genica tramite CRISPR/Cas9 hanno invece il potenziale di modificare selettivamente e precisamente il DNA realizzando così una vera e propria chirurgia molecolare, anche a livello di cellule germinali o embrionali.

La storia di Ashanthi DeSilva

Ashanthi DeSilva
Dr. W. French Anderson con Ashanti de Silva

Quando aveva solo due giorni, Ashanti DeSilva contrasse un'infezione. Si rivelò la prima di molte infezioni che avrebbero lasciato perplessi i suoi genitori e i dottori fino al compimento dei 26 mesi, quando le fu finalmente diagnosticata una carenza di adenosina deaminasi (ADA), una forma di grave immunodeficienza combinata (SCID).

Il trattamento prevedeva iniezioni regolari di PEG-ADA, una forma artificiale dell'enzima ADA, per aumentare il numero di linfociti T, un trattamento che tende a diminuire di efficacia nel tempo. Dopo due anni di iniezioni, infatti, Ashanthi non rispondeva più al trattamento.

Nel 1990 i genitori di Ashanthi si videro costretti a mettersi in contatto con il genetista French Anderson, che stava facendo pressioni per ottenere il permesso di procedere con le sperimentazioni sulla terapia genica umana.

Dopo un estenuante processo di approvazione, Anderson ottenne il permesso di procedere nel 1990. I genitori di Ashanthi furono fortunati a trovarsi nel posto giusto al momento giusto e diedero il permesso di impiantare alla figlia il gene corretto. L'alternativa era la morte certa.

I ricercatori hanno prelevato sangue dalla ragazza, inducendo le cellule T del sangue a replicarsi in coltura. I vettori retrovirali infusi con geni ADA funzionali sono stati trasferiti nelle cellule T coltivate. Le cellule T con i geni corretti sono state reinfuse circa 12 giorni dopo il prelievo del sangue; nel corso di circa due anni Ashanthi ha ricevuto 11 infusioni.

In termini conservativi, i risultati dei coraggiosi test clinici di Anderson sono stati a dir poco sorprendenti. Nei primi sei mesi, il conteggio delle cellule T della ragazza è salito verticalmente. Ha rapidamente raggiunto livelli normali e la sua salute ha avuto un notevole incremento nei due anni successivi.

Ashanthi non ha sofferto di effetti collaterali significativi e la sperimentazione ha aggiunto altri pazienti. In soli quattro mesi, un'altra bambina ha ricevuto un trattamento di successo. Sebbene i dottori abbiano optato per far continuare ad Ashanthi le iniezioni di PEG-ADA a un ritmo modesto, lei è stata in grado di andare a scuola con altri bambini e vivere una vita relativamente normale.

Ashanthi è stata la prima paziente a sottoporsi a un'applicazione approvata di terapia genica. Faceva parte di una sperimentazione autorizzata dalla FDA e dal Comitato consultivo del DNA ricombinante (RAC) dell'NIH. Questo caso ha generato un notevole interesse tra i ricercatori biotecnologici e farmaceutici verso questa terapia innovativa, aprendo la strada verso i traguardi raggiunti in questi anni.

Considerazioni etiche

Ancor prima che iniziasse una vera e propria sperimentazione clinica della terapia genica, la comunità scientifica ha dibattuto ampiamente sulla liceità d'intervento modificativo sul genoma umano, giungendo ad alcune conclusioni accettate pressoché universalmente e, in alcuni Paesi, anche codificate in via legislativa. Queste possono essere così riassunte: per quanto riguarda la terapia genica delle cellule somatiche ‒ un intervento che non modifica il patrimonio genetico trasmissibile alla progenie dell'individuo trattato ‒ non vi sono controindicazioni etiche o deontologiche, se non quelle che riguardano tutti i tipi di sperimentazione clinica, vale a dire, essenzialmente, una valutazione seria e prudente del rapporto tra rischi e benefici.

Per quanto concerne invece l'intervento sulla linea germinale al fine di guarire una grave malattia ereditaria, intervento che, attualmente, è di sicuro tecnicamente realizzabile in modo analogo a quanto avviene per gli altri Mammiferi, esso viene considerato illecito, almeno allo stato presente delle tecnologie. Infatti, come indicato precedentemente, l'introduzione di materiale genetico all'interno del genoma di cellule di mammifero avviene quasi sempre in modo casuale, e solo molto raramente un gene introdotto dall'esterno va a ricombinarsi con l'eventuale sequenza omologa presente nel cromosoma ricevente. Nella terapia genica somatica si può ovviare a questa limitazione, pur grave, selezionando la cellula in cui si è verificato l'evento ricombinativo più efficace al fine terapeutico, lasciando che la selezione elimini tutte le altre cellule. Questa considerazione ci fa immediatamente capire perché il rapporto costi/benefici di un simile intervento sulla linea germinale non possa essere accettabile allo stato attuale, in quanto comporterebbe necessariamente l'eliminazione di molti prodotti del concepimento nei quali non sia avvenuto l'evento di ricombinazione desiderato: una situazione quindi peggiore di quanto si possa ottenere per lo stesso fine mediante la diagnosi prenatale e l'eventuale interruzione della gravidanza. Non bisogna infatti trascurare la possibilità preoccupante di derive pericolose verso i cosiddetti “designed babies”, bambini “scolpiti” geneticamente per avere determinate caratteristiche considerate desiderabili, che sono ovviamente da contrastare legislativamente con regole precise.

Dal momento che l'utilizzo della terapia genica somatica per il trattamento di malattie gravi e inguaribili è attualmente accettato come appropriato dal punto di vista etico, e considerando che gli effetti dannosi della terapia genica appaiono controllabili, il rischio paradossale è che si possa ricorrere alle metodiche di ingegnerizzazione cellulare anche per il trattamento di condizioni non propriamente patologiche, ma cosmetiche.

Deve destare preoccupazione anche il tipo di malattia a cui si potrebbe pensare di applicare questa tecnologia. Se per esempio è difficile trovare obiezioni alla sua applicazione per curare una malattia pericolosa per la vita e altrimenti inguaribile, come per esempio il cancro, cosa si dovrebbe fare a riguardo di malattie croniche come l’obesità, per citarne una? Dove è lecito tracciare una linea di confine?

Tutte queste domande sottolineano come sia necessario che scienziati, medici, legislatori ed esperti di bioetica diano luogo a dei tavoli di lavoro atti a definire le regole entro le quali questa tecnologia possa muoversi. La percezione generale è che, come per tutte le tecnologie prima di queste, CRISPR/Cas9 e quindi la terapia genica in generale siano qui per restare. Non bisogna averne paura, ma conoscerla per regolamentarla diventa un imperativo per la nostra società.

Regolamentazione

Questi dubbi etici, uniti alle tante questioni tecniche che determinano la sicurezza dei trattamenti, sono sempre presi in considerazione dai comitati di esperti incaricati di approvare o respingere l’uso di una nuova terapia genica.

Come si legge nel sito dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) il controllo dei prodotti per la terapia genica, date le sue peculiarità, deve essere esercitato da un Laboratorio Ufficiale per il Controllo dei Medicinali (OMCL). Per garantire questi controlli è stato istituito a livello europeo, presso il Direttorato per la qualità dei medicinali e delle cure sanitarie (EDQM) il Gene Therapy Working Group, che nasce per migliorare la collaborazione tra i diversi laboratori OMCL che si occupano di prodotti destinati alla terapia genica. “Il gruppo di lavoro GT si riunisce una volta all’anno per condividere i risultati ottenuti rispetto alla pianificazione dell’anno precedente e per definire il programma di lavoro dell’anno successivo, nonché per discutere eventuali argomenti ritenuti rilevanti” spiegano gli esperti ISS.

Sviluppi futuri

Il campo di applicazione delle terapie geniche è destinato a espandersi: uno studio del 2017, infatti, prevedeva che entro la fine del 2022 sarebbero state approvate circa 40 terapie geniche, di cui il 45% sarebbero stati trattamenti contro il cancro, il 34% per il trattamento delle malattie rare, il 17% per le malattie comuni e il 4% per le malattie estremamente rare. In effetti, i maggiori progressi in questo campo sono stati compiuti verso le malattie causate da mutazioni di un singolo gene (spesso malattie rare o ultra-rare, con poche opzioni di trattamento alternative) o tumori che non rispondono bene ai trattamenti convenzionali, come il melanoma metastatico, il glioblastoma, il cancro del pancreas e il carcinoma epatocellulare. Grazie alla possibilità di manipolare le cellule del sangue fuori dal corpo e poi reinfonderle, anche le terapie per i tumori ematopoietici (come i linfomi e le leucemie) sono oggetto di numerosi studi. Ma non è finita qui: la ricerca biomedica sta investendo tempo e risorse per applicare la terapia genica alle malattie più diffuse nella popolazione generale, in cui la produzione di alcune proteine potrebbe essere diventata insufficiente, come le malattie cardiovascolari, le malattie neurodegenerative come il morbo di Parkinson e di Alzheimer e i disturbi relativi all’invecchiamento come l’artrosi. La terapia genica potrebbe offrire a tutti questi pazienti una cura innovativa, con il miglioramento a lungo termine della loro salute.

Prima di concludere, è importante sottolineare che la terapia genica è una delle branche più giovani della medicina. Per questo motivo, nonostante gli ottimi risultati già raggiunti, è ancora una disciplina in evoluzione. Uno degli aspetti sui quali vari gruppi di ricerca stanno lavorando è aumentare l’efficienza dei protocolli terapeutici, ovvero aumentare la percentuale di cellule che si riesce a correggere geneticamente. Questa percentuale varia a seconda del tipo di cellule (e dell’organo d’appartenenza) da trattare. In alcuni casi l’efficienza di correzione genica è già sufficientemente alta per ottenere benefici terapeutici, in altri casi non ancora. Un altro aspetto fondamentale è quello della sicurezza: bisogna migliorare le tecnologie a disposizione per essere più sicuri di modificare soltanto il gene di interesse terapeutico, senza alterare gli altri 45.000. Inoltre, sebbene la terapia genica sia nata come approccio a malattie monogeniche, in cui basta correggere un singolo gene per curare la malattia, l’eccitante successiva sfida consiste nel trattare malattie multifattoriali, come il cancro, in cui probabilmente bisognerà rimpiazzare e/o eliminare più geni contemporaneamente. Alcuni risultati incoraggianti cominciano ad arrivare anche su questo fronte.

Infine, basandosi spesso su protocolli sofisticati e lunghi (prelievo delle cellule dal paziente, successiva correzione genica in laboratorio e reinfusione finale), i costi della terapia genica per il sistema sanitario sono ad oggi molto elevati. Bisogna perciò lavorare a ottimizzare i protocolli, renderli più semplici e quindi meno costosi per facilitare l’accesso a questa terapia anche ai Paesi più poveri.